In questo blog si parla di mio figlio, Alex, adolescente affetto da una grave forma di autismo. Non ci troverete però la sua storia passo passo bensì una serie di racconti, a volte esposti con sarcastica ironia, altre volte rigurgitati con rabbia sulla tastiera. Riflessioni, cronache in presa diretta, fragorose risate, eruzioni di disappunto e quant'altro, il tutto proposto in sequenza casuale e senza un vero filo conduttore, spaccati di quotidiana convivenza con l'autismo. Uno strano percorso il nostro, una scuola di amore e di valori, di perseveranza e di coraggio, dove di imparare non si smette mai...

martedì 9 ottobre 2012

La lezione del football americano




Da adolescente ero appassionato di football americano, ero stato contagiato da un compagno delle superiori, Alessandro, che in classe sfoggiava sempre con orgoglio il suo inseparabile berretto dei San Francisco 49ers. Alessandro era decisamente logorroico quando si metteva a parlare della sua passione ed io ero l'unico che riusciva a reggerlo per più di 5 minuti, così divenimmo amici, ed il football americano mi entrò dentro quasi inconsciamente, per osmosi.

E' incredibile quanto poco basti per divenire un diverso, un escluso, per lui la palla era ovale e andava lanciata con le mani, per tutti gli altri la palla era rotonda e andava presa a calci, un motivo che si rivelò sufficiente a creargli terra bruciata attorno. Il principale problema degli autistici è la difficoltà ad accettare cambiamenti, anche minimi, rispetto alle proprie abitudini acquisite, ma se allora facessimo un minimo di autocritica ci renderemmo conto che in fondo siamo tutti un po' autistici...

Passare un intero pomeriggio con Alessandro aveva sempre un effetto frastornante, per lui esisteva solo il football americano, sport per il quale rappresentava un'autentica miniera di informazioni, un'enciclopedia vivente. Alla sera te ne andavi a letto e sognavi di fare touchdown ricevendo in tuffo con una sola mano un lancio da 90 yard di Joe Montana .... ti svegliavi sudato, con fili d'erba sintetica incastrati tra gli incisivi...

Una volta, a casa sua, mise su una VHS, c'era registrato il Super Bowl dell'84 vinto dalla sua squadra del cuore. Eravamo soli e decidemmo che lo studio per una volta poteva attendere. Chiuse le tende, sprofondammo nel divano e lo spettacolo ebbe inizio. Alessandro era la solita macchinetta inarrestabile, peggio di Bonolis nel gioco finale di "Avanti un altro", un muro sonoro in cui avevi difficoltà ad insinuarti, era la prima volta che vedevo una partita per intero ed ero realmente interessato, ma per capire qualcosa avrei dovuto mettergli un tappo in bocca. Mi saltò all'occhio una cosa per me strana, i due allenatori avevano sempre in mano un Walkie talkie, se lo tenevano stretto contro l'orecchio parlandoci ininterrotamente mentre camminavano frenetici avanti e indietro dinanzi alla propria panchina. Con chi stavano parlando? Alessandro non vedeva l'ora che gli si ponessero domande sul football e quella era un'occasione perfetta per dargli un po' di meritata gratificazione.

La sua spiegazione, come sempre, fu super esaustiva...

"Dal campo non hai visione di gioco, sei sullo stesso livello dei giocatori e la tua percezione degli spazi è piatta, fortemente limitata. Sai com'è messa in campo inizialmente la tua squadra perchè ce l'hai messa tu, ma non riesci a vedere bene come sono messi in campo i tuoi avversari, come sono disposti i vari blocchi e come si muovono. Quindi stando troppo dentro il gioco non hai modo di capire come poter scardinare il nemico, non puoi intuire cosa tu debba modificare nel tuo gioco, che moduli utilizzare e che schemi far richiamare dal quarterback. Sei cieco. Occorre un punto di vista distaccato per valutare e capire tutte queste cose, il campo di gioco e la disposizione dei giocatori va analizzata dall'alto. Le squadre serie, anche qui in Italia, utilizzano quindi sempre almeno un collaboratore che va a piazzarsi sull'ultimo anello dello stadio, il più in alto possibile, in costante contatto radio con il coach, i suoi suggerimenti sono fondamentali per capire come muoversi e cosa cambiare nel tuo modulo se vuoi vincere la partita. Da dentro il campo queste cose non le puoi fare, è impossibile. Nell'NFL gli allenatori sono più di uno, in genere almeno 4, uno solo sta in panchina, l'head coach, mentre tutti gli altri sono in alto, nel terzo anello, uno sulla linea della difesa, uno sulla linea dell'attacco e l'altro sulla linea dei centrali, sono loro che in realtà comandano tutto, l'head coach si limita a mantenersi in contatto radio con loro e ad eseguire gli ordini, se fosse da solo non concluderebbe mai nulla."

Ineccepibile!

Ecco ..... quando l'autismo irrompe in una famiglia tutti i suoi membri finiscono dritti dritti nell'ultima fila di quel terzo anello, a vedersi il gioco dall'alto.
Da quel punto di vista, teoricamente privilegiato, hai così modo di comprendere che prima credevi soltanto di aver capito cosa fosse la vita e come andasse giocata, ma che in realtà non avevi capito un bel niente. La tua percezione del tempo, degli spazi e dei valori, muta totalmente. Potessi riscrivere il Dizionario della lingua italiana quante cose modificheresti, quante spiegazioni, quanti pseudonimi.

Ma su quel terzo anello ci devi stare un bel po' per capire veramente, inizialmente avverti infatti un senso di privazione, ti sembra di aver perso qualcosa, tutto, e ti viene rabbia ... ma poi incominci a comprendere i moduli di quella partita dalla quale la vita ti ha espulso, a vedere quante porzioni di campo restano inutilizzate e quanto il gioco sia in realtà stereotipato e migliorabile, ti rendi conto che quei giocatori la loro partita potrebbero giocarsela meglio, molto meglio, con poche modifiche tattiche, pochissime, ma giù in campo l'head coach non c'è, nessuno ha in mano un walky talky e nessuno crede di aver bisogno di consigli. I giocatori si muovono in massa, concentrandosi in piccole porzioni di un campo in realtà vastissimo, e tengono sempre la testa bassa. Vorresti urlare ma nessuno riuscirebbe a sentirti, in realtà sei al cinquantesimo anello, non al terzo, e la distanza appare abissale.

Le scale degli spalti non ci sono più, sono crollate, non puoi più scendere, e tu resti li per sempre, rinchiuso in un satellite che non può far altro che ruotare in eterno attorno alla tua vita precedente, su un'orbita che pian piano ti porterà ad allontanartene sempre di più.

Arrivi a prendere piena coscienza di quanto fosse superficiale il tuo modo di vivere e distorta la tua percezione del concetto "felicità" quando ancora avevi modo di correrci nel campo di gioco della vita, le scalette delle priorità che prima seguivi ti si svelano per quello che erano, totalmente errate o per lo meno notevolmente migliorabili, e riscopri invece tutte quelle cose che solo l'innocenza e la purezza di un bambino riescono ancora a notare. Il profumo dell'erba, lo scoordinato correre delle nuvole, il sapore di un bicchiere d'acqua, lo sguardo languido di un cane, il calore di un abbraccio, la sincerità di un sorriso disinteressato, l'assordante rumore di certi silenzi, quell'atmosfera magica della partita a scala 40 con tuo padre mentre fuori impazza la tempesta.... Una riconquista dell'essenzialità e della primordialità. Capisci che la vera felicità è un'altra cosa, tanto piccola e semisepolta che solo fermandoti un attimo hai modo di notarla, quell'attimo che nessuno sembra aver più tempo o voglia di trovare, e arrivi quasi a ringraziare l'autismo per averti scelto ... quasi, perchè il bello sarebbe poter un giorno tornare giù e ricominciare a correre con gli altri, in modo diverso, giocheresti una partita straordinaria, ma questo non lo potrai mai fare.

L'autismo è un viaggio di sola andata.









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